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venerdì 11 gennaio 2008

L'amore ai tempi del colera

Si può essere innamorati di diverse persone per volta, e di tutte con lo stesso dolore, senza tradirne nessuna, il cuore ha più stanze di un casino.
(da "L'amore ai tempi del colera"
di G. G. Màrquez
)



Queste parole di Marquez mi risuonano tantissimo e ci ritornerò sopra in conclusione del post. Ma ora innanzi tutto una premessa che potrebbe sembrare "fuori tema".

La mia memoria assomiglia molto a un setaccio a maglie troppo larghe. Dimentico i libri che leggo, per questo mi dico sempre che farei meglio a rileggere quelli già letti che continuare a procurarmene di nuovi; fortunatamente non mantengo questo proposito. Faccio fatica a richiamare alla memoria i miei film preferiti; gli rammento se mi trovo a rivederli, ma non so citarli a mente. Dimentico pressoché all'istante le barzellette che mi raccontano, anche quando mi fanno morire dal ridere. Faccio continuamente gaffe non riconoscendo persone che mi salutano. Comunque tra le maglie larghe del setaccio che ho in testa qualcosa, pure se poca cosa, rimane. E mi consolo con queste parole di Gibran (da "Sabbia e schiuma")
L'oblio è una forma di libertà.


che collego a queste di Marquez (da "Vivere per raccontarla"):

La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.


Credo che la mia naturale propensione a dimenticare, porti non solo limitazioni e svantaggi, ma sia anche un dono, che magari un giorno apprezzerò di più, ricordando una vita migliore di quella che ho materialmente vissuto. Di sicuro questo dono è uno dei motivi per cui ho imparato a fidarmi più del mio cuore che della mia mente.



Questa digressione mi serviva a introdurre un mio commento al film L'Amore ai tempi del colera - regia del britannico Mike Newell (il regista di Quattro matrimoni e un funerale) - che sono andato a vedere al cinema qualche giorno fa con la strana consapevolezza di non riuscire in alcun modo a rammentare la trama del famosissimo romanzo da cui è tratto, pur ricordando di averlo letto ed apprezzato non meno di vent'anni fa. A dire il vero mi pare che quasi tutto ciò che ho letto di Gabriel Garcìa Màrquez mi sia piaciuto, pure se - non dipende dall'autore, ma dalla mia memoria - mi resta giusto qualche vaga reminiscenza di Cronaca di una morte annunciata, Cent'anni di solitudine, Nessuno scrive al colonnello. Scorrendo la bibliografia di Marquez traggo la certezza d'aver letto anche Foglie morte, I funerali della Mamà Grande, La mala ora, L'incredibile e triste storia della candida Erendira e della sua nonna snaturata, L'autunno del patriarca, Il generale nel suo labirinto, Dell'amore e altri demoni. Tutti volumi che sono rimasti a casa di mia madre, perché qui da me non avrei spazio dove metterli, e che nei miei ricordi condividono lo stesso destino d'oblio de L'amore ai tempi del colera. Inoltre tra i tanti testi messi da parte per arrivare sul mio comodino, ho anche Vivere per raccontarla, l'autobiografia di Marquez, e - fosse anche solo per la suggestione del titolo - prima o poi leggerò Memoria delle mie puttane tristi.
Però ricordo benissimo le sensazione di quell'atmosfera comune a tutti i romanzi di Marquez, a metà tra la Colombia reale e l'immaginifica Macondo. Un caleidoscopio di jungla, amache, fiumi e battelli, donne d'equatore dai corpi sodi, colori di pappagallo e profumi di fiori giganti, suoni di campane e di violini. Un mondo popolato di personaggi epici e semplici allo stesso tempo, ricco di storie struggenti e magiche.

Tuttavia, proprio perché non ricordavo il libro, ho potuto apprezzarne la trasposizione cinematografica per quello che è, senza confronti che rischiano di essere impietosi e un po' scontati: un film che racconta una bella storia romantica, che a tratti si fa surreale e diventa poesia tragicomica della vita, convincente seppure con qualche caduta nella recitazione e nel ritmo, che non inficia un giudizio complessivamente positivo.
La vicenda ruota attorno a Florentino (l'attore
Javier Bardem) che, poco più che ragazzo, vede la bella Fermina (la nostra Giovanna Mezzogiorno) e viene colpito da fulmine d'amore, all'inizio ricambiato poi negato, sia pure sempre e solo a livello platonico.
Fermina si sposa, ama suo marito, ha figli e vive la sua vita. Intanto Florentino non riesce a dimenticarla e soffre una pena d'amore che sta quasi per annientarlo. Finché il destino Deus ex machina, nella forma di una donna vogliosa incontrata in nave, riesce a fargli, non dico dimenticare la sua donna, ma almeno capire che la vita intanto continua ed ogni incontro col "femminile", e dunque con l'Anima (junghiana), può donare al suo cuore un po' della pace che cerca e dell'amore che aspetta.
Florentino riuscirà a custodire nel petto il sentimento per Fermina per oltre 50 anni, pur di cogliere la possibilità di realizzare il loro amore. Sarà capace di puntare con pazienza e costanza a una ascesa sociale funzionale all'obiettivo del suo cuore. Sarà capace di mantenersi "idealmente" vergine e allo stesso tempo amare carnalmente tante altre donne (622!) annotandole una ad una, con precisione ossessiva, in un piccolo taccuino, quasi scrivesse direttamente sopra la propria anima. Fermina più d'una volta lo definisce un'ombra, ma Florentino è tutt'altro che un uomo irreale, è splendidamente surreale, al punto che sarebbe potuto uscire benissimo anche dalla fantasia di Calvino!



Ho letto qualche critico stigmatizzare l'interpretazione dell'attore (e le scelte della regia, a volte discutibili) finanche a vedere nel suo personaggio, che s'ingobbisce sotto il peso degli anni, l'involontaria parodia di Giulio Andreotti, un rischio che corre però solo il pubblico italiano! Trovo al contrario che Javier Bardem abbia trovato un buon compromesso per rendere il più possibile credibile - e veramente non era impresa facile - un personaggio totalmente sui generis: un po' casto e un po' Casanova, un po' poeta e un po' contabile, un po' fanciullo e un po' uomo, che strappa pure varie risate (ma talvolta diventano amare) con le "gag" delle sue avventure galanti.
Sono rimasto meno convinto da Giovanna Mezzogiorno, e mi permetto di affermarlo perché è un'attrice che stimo molto; mi resta l'impressione che in questo caso non sia riuscita a dare credibilità al suo personaggio per tutta la durata dell'azione: a mano a mano che Fermina invecchiava (la vicenda copre oltre mezzo secolo) la sua recitazione ha perso d'intensità e pathos fino a sembrare stereotipata e - mi si perdoni il giudizio - meno sentita che nella prima parte.
In conclusione, una pellicola senz'altro da vedere, ma non un capolavoro, coi limiti dei film che portano sullo schermo un grande libro. Comunque ho pianto di commozione nella prima e nell'ultima parte del film, è prendo ciò come cartina di tornasole dell'empatia scattata coi personaggi.

Mi ricollego dunque alla frase tratta dal romanzo di Marquez (e recitata pari pari nel film) che ho messo in esergo:
Si può essere innamorati di diverse persone per volta, e di tutte con lo stesso dolore, senza tradirne nessuna, il cuore ha più stanze di un casino.
È vero, si possano amare contemporaneamente più persone, e trarne gioie o dolori, ragione per cui ho dedicato in passato spazio nel blog al concetto di poliamore come definito dal filosofo francese Jacques Attalì.
Quando amiamo più di una persona, stiamo seguendo il desiderio di mettere insieme il puzzle ideale della nostra anima: non riusciamo a farlo tramite un'unica persona che ci reca soltanto una piccola parte delle tessere necessarie. Nel caso - raro ma non impossibile - d'incontrare quella persona che fosse ella stessa gran parte dell'intero puzzle, saremmo appagati da quest'unico grande amore. E che il buon Dio allora voglia ci sia reciprocità, e non si debba aspettare cinquant'anni come Florentino!



Post Scriptum. Mi è venuta voglia di rileggere L'amore ai tempi del colera. Vedendo il film è scattata in me una parziale identificazione con Florentino, cosa che vent'anni fa non poteva accadere. Da allora le vicende della vita mi ha portato ad assaggiare alcuni dei sapori che Marquez ha raccolto in questa sua storia. E mi torna in mente un post che scrissi prima di Natale in cui, prendendo spunto da una storia zen e dalla mia esperienza, paragonavo gli amori vissuti alla luce della Luna a quelli vissuti alla luce del Sole, sentenziando in pratica la superiorità degli ultimi sui primi. Be', proprio vedere questo film ha fatto traballare quella mia conclusione. Gli amori valgono nel loro stesso essere: se un fiore è bello lo si vedrà e se ne potrà godere alla luce del Sole quanto a quella della Luna.


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